Di Andrea Giovannucci
Nel vastissimo mondo del gioco digitale, recentemente con sempre maggiore frequenza possiamo trovare videogame progettati per espandere i propri confini ludici oltre lo schermo dietro cui siamo abituati a vederli. Il caso più macroscopico, come ha messo in luce Tanya Krzywinska nei suoi studi, è il MMORPG The Secret World (2012, sviluppato da Funcom e pubblicato da Funcom ed Electronic Arts) in cui i giocatori abitualmente seduti davanti al loro monitor sono chiamati ad interagire con il mondo fisico per superare determinate quest.
Siamo abituati a pensare i giochi digitali come linguaggi confinati dentro una cornice di riferimento estremamente ridotta che è grande esattamente quanto il monitor di cui disponiamo. All’interno della cornice-monitor il mondo di gioco è perfettamente rappresentato, sia che si tratti di giochi retrò ad 8 bit sia che si tratti dell’ultimo sparatutto con motore grafico all’avanguardia, il gioco infatti è tradizionalmente rinchiuso all’interno di quello spazio. La realtà virtuale ha tentato e sta tentando di esportare il gioco digitale verso un contesto più vasto, di allargare i confini dell’esperienza ludica anche se il grande pubblico non sempre sembra dimostrare interesse per progetti che vanno in questa direzione.
In effetti questi modelli di virtualizzazione tendono logicamente ad ampliare la cornice di riferimento (il monitor) e non a spezzarla o a reinterpretarla. I visori per VR come Oculus Rift ad esempio promette esperienze virtuali a 360 gradi, ma alcuni addetti al settore sono scettici sul vero impatto che essi possano portare sull’esperienza di gioco. La sensazione in realtà è che questi “nuovi” strumenti di virtualizzazione sono piuttosto dei potenti controller, delle interfacce, che ridefiniscono il rapporto tra utente e macchina ma che non rimettono in discussione la semantica del gioco (o almeno non nell’immediato).
Mentre gli ingegneri si occupano di cambiare il modo attraverso cui interagiamo con l’hardware, molti games designer stanno cercando di portare il gioco digitale in un contesto reale. E’ il caso ad esempio di Ingress (2013) gioco sviluppato da Google e pensato specificatamente per il mondo mobile in cui alla realtà 1 (quella in cui viviamo) viene sovrapposta una realtà 2 (visibile solo attraverso la app del gioco) e in cui due fazioni si contendono la conquista dello spazio di gioco virtuale spostandosi realmente nello spazio e reclamando i punti di maggiore interesse su tutto il globo. I giochi legati alla georeferenziazione come Ingress ricontestualizzano il mondo reale e rientrano nella categoria degli ARG (Augmented Reality Games) che ha conosciuto un notevole impulso (grazie anche alla diffusione di smartphone e tablet) negli ultimi anni.
Mentre da un verso i videogame stanno cercando, con diversi approcci, di allargare o rompere il loro storico frame di riferimento per entrare nel mondo reale, dall’estremo opposto alcuni larp stanno cercando nuovi spazi di gioco all’interno del contesto digitale.
Cosa fa di un larp, un larp?
Nel larp i giocatori sono già situati al di là dello schermo in un contesto di realtà o meglio di semi-realtà. Nel larp infatti i fattori legati ad esempio agli aspetti biologici delle persone e degli animali, ma anche alla percezione delle leggi della fisica e via dicendo, convivono con gli aspetti immaginari (l’ambientazione di gioco, etc.). Inoltre l’esperienza del larp si è sempre basata principalmente sulla presenza fisica degli attori, sulla loro possibilità di interazione in presenza. Questi aspetti sono sempre stati ritenuti da più parti fondativi dell’esperienza di gioco del larp. Non a caso nelle definizioni più attestate e accreditate di larp troviamo sempre riferimenti all’interazione e all’incontro:
Il role-playing è immedesimazione (eläytyminen) in una coscienza esterna (un personaggio) e interazione con ciò che la circonda.
Immersion (eläytyminen) to an outside consciousness (“a character”) and interacting with its surroundings.
Manifesto della scuola di Turku, Finlandia
Un incontro tra giocatori che, attraverso i loro personaggi, si relazionano l’un l’altro in un mondo fittizio.
A meeting between players who, through their characters, relate to each other in a fictional world.
Manifesto Dogma 99, Norvegia
Nel gioco di ruolo dal vivo ogni giocatore interpreta un personaggio e interagisce con gli altri giocatori e con il contesto di gioco contribuendo a fare emergere una narrazione plurale le cui prospettive sono moltiplicate dalle esperienze individuali e dai diversi punti di vista. Immaginate di porre una telecamera sulla fronte di ognuno dei partecipanti, al termine dell’evento avreste tanti “film” diversi quanti sono i partecipanti. La narrazione è soggettiva e, almeno parzialmente, fuori dal controllo dei produttori. È proprio dal convergere dei diversi punti di vista che emerge un evento larp. Inoltre l’assenza di pubblico garantisce che l’esperienza ha valore in sé e per sé e svincola, almeno apparentemente, il larp dalle arti performative e il giocatore dal ruolo di attore/performer.
Si è spesso ritenuto, e così in effetti è stato per un lungo lasso di tempo, che una delle caratteristiche fondamentali del gioco di ruolo dal vivo fosse la presenza fisica del giocatore all’interno del contesto di gioco nel momento specifico in cui la sessione si svolge. Ovvero che uno dei caratteri fondativi, forse il più importante e sicuramente il più macroscopico, del larp fosse la sua natura live, cosa che ha portato alcuni studiosi ad assimilare questa forma agli happening degli anni Sessanta.
Sebbene il gioco di ruolo dal vivo ha conservato a lungo le sue caratteristiche strutturali e formali originarie, intorno alla fine degli anni ‘90 (e specialmente in Europa) ha cominciato ad affacciarsi tra giocatori e game designers una nuova consapevolezza del suo valore espressivo, della sua capacità di veicolare contenuti strutturati e complessi che ha portato e sta portando a cercare progettazioni originali sia da un punto di vista narrativo (soprattutto riguardo la scelta di nuove tematiche e ambientazioni) sia da un punto di vista delle meccaniche di gioco.
Questa ricerca che è sia formale che sostanziale ha anche avuto anche momenti di discussione e di elaborazione teorica nelle comunità e negli incontri pubblici tra le diverse realtà (Knutpunkt, GNiales, Larp Symposium, etc.), sta portando oggi all’emergere di forme ludiche ibride che si propongono sia come continuità di una tradizione oramai trentennale sia come una nuova prospettiva.
In questa prospettiva il mondo digitale rappresenta una occasione in grado di proporre nuovi sviluppi alla progettazione del larp. Se il frame di riferimento dei videogame è, come già detto, il limite fisico del monitor, nel larp esso è più esteso. Per la realizzazione di eventi larp non è raro trovare luoghi di gioco che occupano centinaia o migliaia di metri quadri, al cui interno possono trovarsi diverse strutture e/o contesti (case, boschi, laghi, castelli, accampamenti, etc.). In realtà il frame di riferimento nel larp assomiglia più ad una sfera che ad una cornice. Tutto quello che si trova all’interno di questa area è parte del gioco (ovvero tutto ciò che si trova al suo interno è ricontestualizzato secondo le regole del gioco), tutto ciò che ne è fuori rappresenta i limiti del gioco. Il giocatore stesso è nella condizione di essere incluso in questa sfera.
Nuovi Design
Molti games designer che si occupano di larp sono alla costante ricerca di nuovi spazi da “colonizzare”, luoghi che possano espandere la sfera di gioco in contesti nuovi e più ampi. Non è un caso che, man mano che il larp si affranca dal suo retaggio fantasy, nuove tecnologie vengono hackate per essere utilizzate nel contesto di gioco e così facendo portano in giochi nuovi spazi che non sono necessariamente fisici.
Molti larp hanno tentato e stanno tentando di conquistare questi nuovi luoghi virtuali, anche se alle volte è necessario prima “inventarli” per poi riuscire a maneggiarli. Questa ibridazione riguarda specialmente i media digitali e alcune modalità di interazione online che cominciano ad essere oggetto di gioco dei larper come strumento narrativo e/o come media espressivo. Uno dei primi esperimenti in questo ambito è un gioco italiano: Pathos.
In Pathos (1997), che è stato certamente tra i primi pervasive game e ARG realizzati e che è durato nella sua prima fase circa tre anni, i giocatori interagivano tra di loro tramite una mailing list in cui ricontestualizzavano le notizie del mondo reale alla luce di una presunta cospirazione planetaria di cui tutti (eccetto i giocatori) erano all’oscuro.
Il gioco si svolgeva proprio sul confine tra reale e immaginario, e presto cominciarono a sorgere sul web siti creati dai giocatori stessi che contribuivano all’operazione di mistificazione ludica che Pathos stava mettendo in atto.
Nel continuum della narrazione offerta dalla mailing list, che rappresentava il cuore del gioco, venivano inseriti eventi dal vivo sulla forma tipica dei larp in occasione specialmente di vere convention di giochi come Lucca Comics & Games. Pathos in grande anticipo sui tempi utilizzava la tecnologia di cui si disponeva all’epoca per comunicare e formare una grande narrazione condivisa, frammentata e ricomposta non dissimilmente da quanto, in tempi successivi faranno alcuni interessanti collettivi di scrittura italiani come i Wu Ming, Kai Zen e altri. Il mondo di gioco inoltre veniva costantemente ampliato tramite la creazione dei falsi siti realizzati dai giocatori con l’effetto di allargare la sfera di riferimento fino ai margini del World Wide Web.
Carolus Rex
Le interazioni tra linguaggi tecnologici e larp però non si sono limitate alle possibilità offerte dalla rete, ma anche gli oggetti digitali hanno rappresentato e sempre più rappresentano una nuova frontiera del game design applicato al larp. In Carolus Rex ad esempio il gioco si svolgeva in un sottomarino della marina russa in disuso che rappresentava una astronave all’interno di una ambientazione retro-futuristica.
L’astronave veniva comandata dall’equipaggio attraverso un terminale che imitava una intelligenza artificiale, un computer con monitor a quarzi verdi era l’interfaccia che gli esseri umani dovevano utilizzare per comunicare con il “cervello” della nave. Naturalmente dietro lo schermo si celavano dei master che “chattavano” con i giocatori tramite una piattaforma programmata in basic ricevendo gli ordini di volo per poi fare avvenire in gioco, tramite suoni, luci e altro, tutto ciò che gli ufficiali avevano stabilito.
Ancora una volta la tecnologia digitale in Carolus Rex offre il potenziale per allargare la sfera di gioco facendo intuire ai giocatori l’esistenza di qualcosa di che è oltre il campo visivo e inoltre fornisce un oggetto di interazione ludica ad alto contenuto simbolico. Quello dell’intelligenza artificiale infatti è un topos fondamentale della letteratura fantascientifica, così come lo sono i computer di bordo di ogni astronave del cinema, dei fumetti, etc. Senza l’utilizzo di questi stilemi è molto difficile ottenere quella sospensione dell’incredulità che è una caratteristica fondamentale degli eventi larp (specialmente di quelli immersionisti).
Steeds
In Steeds i giocatori venivano uniti a coppie di modo che uno dei due interpretava il “cavallo” (uno strano tipo di androide imperfetto), mentre l’altro prendeva il ruolo del cavaliere (colui che dirige l’androide). Il gioco era ambientato in un futuro remoto in cui gli androidi erano utilizzati per rischiose attività di salvataggio.
Questi robot però erano privi della vista e dell’udito, mentre i “cavalieri” potevano, tramite un sistema di videocamere, guardare attraverso i loro occhi e parlare nelle loro orecchie. Gli androidi quindi dovevano essere guidati tramite la voce del proprio “cavaliere” nella risoluzione dei problemi che si frapponevano al salvataggio. Attraverso la tecnologia i sensi dei giocatori venivano spartiti tra le coppie di giocatori in modo da fornire una sorta di esperienza mutilata da una parte (il “cavallo” non vede, non sente e può ascoltare solo il proprio cavaliere) e dall’altra (il “cavaliere” vede solo ciò che il “cavallo” mostra, e inoltre non ha olfatto né tatto).
Questo larp sperimentale della durata di un’ora circa metteva i giocatori nelle condizioni di sperimentare un linguaggio complesso che esplora i limiti della comunicazione digitale, specialmente di quella contemporanea sempre più esposta alla mutilazione sensoriale. Inoltre la visuale del “cavaliere” che osserva in prima persona il “cavallo” eseguire gli ordini che vengono impartiti somiglia ad un grottesco first person shooter in cui gli attori escono dal videogioco per entrare in una sfera decisamente più reale.
Si innesca così quasi un cortocircuito tra generi ludici in cui il larp attraverso i media tecnologici (le videocamere, i microfoni e tutti gli apparecchi necessari a giocare The Steeds) passa “oltre lo specchio” per diventare immagine di un altro linguaggio ludico (quello degli FPS per l’appunto).
New Atlantis
In New Atlantis, un larp con ambientazione post-apocalittica, prima della fase di gioco in presenza fisica gli organizzatori hanno realizzato una piattaforma online aperta a tutti (giocatori iscritti all’evento e non) in cui venivano vissute le ultime fasi della civiltà prima della catastrofe che portava al declino il mondo. Il sito, realizzato come un verosimile sito di controinformazione e dotato di una webradio (AtlantisRadio ancora consultabile qui) che trasmetteva costantemente informazioni, documenti e musica forniva ai giocatori lo strumento per interagire da casa nel ruolo dei propri personaggi.
Ogni giorno il radiogiornale forniva informazioni sul degenerare della situazione mondiale e chiamava i giocatori a fornire testimonianze di quanto stava accadendo nella loro zona in modo da ricostruire il quadro degli eventi. I giocatori in questo modo erano chiamati a contribuire alla formazione dell’immaginario di gioco e alla definizione dell’ambientazione. Ognuno poteva partecipare a questa scrittura collettiva tramite il forum, la chat, ma anche registrando audio messaggi che venivano ritrasmessi dalla stessa webradio.
In questo modo la sfera di gioco veniva definita dagli stessi partecipanti e assumeva una rilevanza maggiore perché erano loro stessi a definire cosa stesse succedendo. Quasi centocinquanta persone hanno contribuito a portare la propria testimonianza degli ultimi giorni del pianeta terra contribuendo a formare un imaginario solido e espanso che risultava decisamente “reale” proprio perché frutto della moltiplicazione dei diversi punti di vista sullo stesso fenomeno. Al termine di questa fase di gioco online della durata di 10 giorni, i giocatori entravano nella fase di gioco larp spostandosi nella location e agendo i propri personaggi dal vivo, avendo la possibilità di muoversi in un mondo che avevano contribuito a creare e a narrare.
In Nuova Atlantide le tecnologie digitali hanno permesso di sviluppare una storia multi-autoriale che definisse la sfera di gioco e che stabilisse allo stesso tempo la rete relazionale che legava i giocatori gli uni agli altri.
Conclusioni
Giochi digitali e larp partono da posizioni in parte antonimiche. Per i primi la presenza fisica sembra pressoché irrilevante, fatta eccezione per le parti del corpo che vengono interessate dalle interfacce, per i secondi invece l’aspetto live e la presenza sembrano fondamentali. Nella realtà dei fatti invece le cose sono decisamente più sfumate e le tendenze dei games designer sia di larp che di videogame confermano questa sensazione. Sempre più i giochi digitali stanno cercando nuovi canali per uscire dai monitor e entrare nel vissuto vero, nella realtà e allo stesso tempo i giochi di ruolo dal vivo, affamati di nuovi spazi, cominciano la conquista dello spazio digitale.
Potrebbe esistere un luogo (o un gioco…) in cui le due direttrici si incontrano. È possibile che le due prospettive di sviluppo stiano procedendo verso uno stesso punto d’arrivo da cui potrebbe emergere una nuova tipologia di giochi? Non è possibile rispondere a quesiti così complessi senza correre il rischio di commettere errori di valutazione. Quello che invece possiamo rilevare sono le spinte che animano i creatori di giochi e le tracce che i giochi lasciano sul terreno sotto forma di documentazione o esperienza. La sensazione è che entrambi i linguaggi ludici possano fornire nuove soluzioni ludiche che nascono specialmente dall’ibridazione di questi giochi.
Così mentre il larp contribuisce a hackare il linguaggio digitale ricontestualizzando delle tecnologie specificatamente orientate, verso nuove e inattese applicazioni (come nei larp di cui si è visto) e spinge il linguaggio digitale verso i propri limiti esplorandone le convenzioni e le interazioni e fornendo loro un contesto fisico, parallelamente i linguaggi digitali rafforzano le esperienze larp con nuovi oggetti di gioco interattivi espandendo il contesto ludico oltre i suoi consueti limiti e portando alla luce aspetti mai esplorati in precedenza.
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