Il “ruolo vivo” abruzzese e l’immersione totale

Da oltre una quindicina di anni, in Abruzzo esiste un calderone di produzione di GRV di altissima qualità, del quale vorrei tratteggiarvi brevemente la storia.

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di Lorenzo Giannotti

Gli abruzzesi sono da sempre “orsi”: introversi, burberi, chiusi per caratere al mondo esterno. Forse le ragioni sono ancestrali, più probabilmente culturali, e nell’ambito del gioco di ruolo dal vivo la questione non è diversa. Da oltre una quindicina di anni, in Abruzzo esiste un calderone di produzione di GRV di altissima qualità, del quale vorrei tratteggiarvi brevemente la storia.

Gli albori

Il mio primo contato con questo mondo, parliamo della metà degli anni Novanta, è legato al famoso manuale fantasy della leggendaria Gilda Anacronisti, che per lunghi anni ha rappresentato un punto di riferimento imprescindibile. Erano i tempi in cui il gioco di ruolo dal vivo era una novità straordinaria, si partiva in barba alla preoccupazione dei genitori e ci si gasava indossando un mantello e imbracciando spade finte realizzate con improvvisate imbottiture. Ci calavamo nei panni di guerrieri, maghi o sacerdoti di divinità improbabili, allestivamo accampamenti e mangiavamo panini restando nei panni dei nostri personaggi. Già allora, qualcuno sentiva il bisogno di sostituire la carta di alluminio con carta di paglia o panni di stoffa. Altri, più folli, staccavano le etichette dalle bottiglie prima dell’agite. Combattevamo orchi e malvagi negromanti con grande coraggio, poiché c’era la paura di morire. La morte del personaggio significava la fine dell’avventura: niente respawn. Era un primo passo.

Oggi posso affermare che in quei giorni adolescenziali di fendenti e cacce al tesoro si poteva già sentire una pulsione all’immedesimazione più profonda. Avvertivamo il bisogno di un più completo distacco dalla realtà. E nel frattempo scoprivamo che l’Abruzzo nascondeva un ricco tesoro di posti meravigliosi e incontaminati.

La svolta

Poi venne la Chaos League, che con Lo strano caso del Professor Petri segnò un punto di svolta epocale. Non più fantasy e niente regolamento: si trattava di un giallo investigativo ispirato a Poe, a Lovecraft e ai miti di Cthulhu. Era il 1998. Dai numerosi racconti tramandati sappiamo che la rivoluzione fu nell’atmosfera che si respirava: la paura, prima dell’azione e dell’indagine, era la vera protagonista. E non è facile spaventarsi in un gioco, se l’atmosfera non è pervasiva, dettagliata, attentamente studiata.

Sia chiaro: parlo di paura vera, quella che ti fa sobbalzare il cuore, non quella che devi fingere e recitare. Roba tipo la testa di una PNG trovata a mollo nel pentolone della cucina. Nulla fu più lo stesso. I live fantasy continuavano a raccogliere comunque un gran numero di consensi. Io stesso ne organizzai un paio, poi nacque l’associazione I Vicoli di Malastrana che ci garantì almeno un paio di eventi l’anno.

7 peccati (2000, Chaos League)

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Ci divertivamo, ma sapevamo che qualcosa era cambiato. Era il 2000 e la Chaos League, “in occasione del Santo Giubileo”, organizzò un live ispirato a Il nome della rosa che fortunatamente di “santo” aveva ben poco. 7 peccati. Un giallo cruento e perverso, con uno straordinario pregio: dietro ai sanguinosi eventi non vi era nessuna entità soprannaturale, solo i gravi peccati di alcuni uomini. Per me è stato catartico, il mio primo “ruolo vivo” non fantasy: entrare nell’eremo ed essere accolto da frati con il saio, la chierica (sì, tuti i PNG erano tonsurati!) e una candela in mano, attraverso scalette ripide fino alla chiesa per la messa di benvenuto e poi al capitulum, infine alle nostre celle con letti di paglia.

Ogni spostamento era condotto con una lentezza esasperata, secondo rigorose regole monastiche, tipo camminare sempre con la spalla destra vicina al muro, tenendo la candela nella mano sinistra. Il pasto veniva consumato tutti insieme nel refettorio, ma rispettando un ossequioso e assoluto silenzio. Quando il nostro magister, Maiolo, venne nelle celle a rinfrancare i nostri cuori poiché l’indomani avremmo preso finalmente i voti, piansi per l’emozione. Date queste premesse, non è forse normale sentirsi il cuore in gola se, durante la note, passi affretati rumoreggiano nel corridoio facendo cadere una candela? Ed era solo l’inizio.

L’immersione totale

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Seguirono anni d’oro. Nel 2003 i ragazzi della Chaos League ottennero dal Comune di Gessopalena l’incredibile borgo vecchio, dove inscenarono un thriller psicologico-politico ambientato negli anni Cinquanta, nella clinica per benestanti Villa Verde. Due giorni di gioco, di cui il primo interamente di visite mediche, file d’attesa e prescrizioni di cure. I giocatori potevano interpretare medici o pazienti, mischiandosi ai PNG, e seguivano due storie parallele che si intersecavano in alcuni momenti chiave. Geniale.
I Mercanti d’Oricalco, seguendo la spinta innovativa della Chaos League, reinterpretarono i vampiri calandoli in un’ambientazione strettamente legata alla vera storia del luogo e sperimentarono con successo la commedia degli equivoci.

Nel frattempo la Chaos League si lanciava nella fantascienza con S.A.L.L.Y. , una distopica e spietata prigione del futuro, e l’anno dopo con NEO-X, un centro medico di raccolta post-pandemia dove gli scienziati in realtà selezionavano le persone per i loro fini. La tecnologia veniva introdotta a favore dell’immersione a 360°: le guardie (anche giocanti) disponevano di un sistema di telecamere a circuito chiuso per controllare i prigionieri. Non mi dilungherò raccontando ulteriori aneddoti dei “ruoli vivi” più recenti, perché vorrei finalmente soffermarmi sull’aspetto centrale della questione: l’immersione totale.

Si teorizza molto sulle strutture e sugli escamotage narrativi, su come introdurre un regolamento più o meno “invisibile” e così via, ma si sottovaluta un aspetto semplice eppure così importante: l’atmosfera. Avvolgere il giocatore a 360° con un mondo fato di tanti piccoli dettagli, anche narrativamente inutili, e mantenere costante questa condizione a lungo, nello spazio e nel tempo, consente di innescare anche il più complesso meccanismo narrativo con un solo input. L’atmosfera deve avvolgere senza pietà per emozionare il giocatore, prima che il personaggio. Perché, in fondo, l’obiettivo è quello: si mira al cuore.

Questo articolo è apparso per la prima volta nel volume: Ragionando di larp.

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